Asset Allocation Outlook

Obbligazionario in prima fila

Nel nostro outlook per il 2024, l’obbligazionario si distingue come classe di attivo che offre solide prospettive, resilienza, diversificazione e valutazioni interessanti rispetto all’azionario.

Le prospettive per l’economia globale unitamente alle valutazioni sui mercati e ai fondamentali delle classi di attivo ci inducono a privilegiare l’obbligazionario, che crediamo raramente sia stato più interessante di come appare oggi in confronto all’azionario. Dopo un paio d’anni turbolenti con inflazione alta e tassi in aumento che hanno messo a dura prova i portafogli, nel 2024 gli investitori potrebbero assistere al ritorno a un andamento più tradizionale sui mercati sia azionari che obbligazionari, benché la crescita incontri ostacoli in molte aree geografiche.

In questo contesto, l’obbligazionario pare destinato a mettere a segno una buona performance mentre l’azionario potrebbe registrare rendimenti corretti per il rischio inferiori, ancorché positivi, a fronte di un mercato in generale sopravvalutato. Il quadro macroeconomico e quello geopolitico sono tuttora avvinti da rischi, pertanto resta cruciale disporre di flessibilità nei portafogli.

Le prospettive macroeconomiche suggeriscono il ritorno della relazione inversa tra azionario e obbligazionario

Nelle ultime Prospettive CiclicheDopo il picco” abbiamo illustrato il nostro scenario di base, che prevede un rallentamento della crescita nei mercati sviluppati (MS) nonché, in alcune regioni, la possibilità di contrazione economica l’anno venturo a fronte del venir meno del sostegno fiscale e del manifestarsi degli effetti della politica monetaria che tipicamente si avvertono dopo un certo tempo. Il nostro modello sul ciclo economico indica una probabilità del 77% che gli Stati Uniti si trovino attualmente nella fase di fine ciclo e intorno al 50% di recessione entro un anno per questo paese.

Il picco è verosimilmente alle spalle per la crescita, e così anche per l’inflazione, a nostro avviso. Con l’avvicinarsi dei livelli dei prezzi agli obiettivi delle banche centrali nel 2024, dovrebbe riprendere la tipica relazione inversa (la correlazione negativa) tra azioni e obbligazioni in base alla quale l’obbligazionario ha la tendenza ad andare bene quando l’azionario è in difficoltà e viceversa. Le prospettive per il quadro macroeconomico favoriscono l’obbligazionario in questa relazione: storicamente, in contesti "post picco" come questi, i Treasury americani hanno avuto la tendenza a offrire interessanti rendimenti corretti per il rischio mentre l’azionario ha incontrato difficoltà.

L’obbligazionario dovrebbe essere nettamente favorito alla luce delle valutazioni e dei rendimenti correnti

Benché non sempre un indicatore perfetto, il livello di partenza dei rendimenti obbligazionari o dei multipli azionari storicamente ha avuto la tendenza a essere un segnale rispetto ai rendimenti futuri. Come illustrato nella Figura 1, livelli dei rendimenti dell’obbligazionario di alta qualità analoghi a quelli correnti mediamente sono stati seguiti da una sovraperformance di lungo termine di questo mercato (tipicamente un interessante 5%–7,5% nei successivi cinque anni), mentre livelli assimilabili a quelli attuali del rapporto prezzo/utile depurato degli effetti del ciclo economico (CAPE) hanno avuto la tendenza a essere associati a sottoperformance di lungo termine per l’azionario. Inoltre, le obbligazioni storicamente hanno offerto questi livelli di rendimento con maggiore regolarità rispetto alle azioni, come si evince dalla distribuzione più stretta (più “normale”) dei risultati di rendimento. Vi sono dunque argomentazioni convincenti a favore dell’obbligazionario.

Figura 1 – Guardando al futuro, i livelli di partenza attuali favoriscono l’obbligazionario rispetto all’azionario

Questa figura è costituita da due grafici a barre che mostrano la distribuzione storica, a partire dal 1976, dei rendimenti futuri rispettivamente dell’azionario (grafico a sinistra) e dell’obbligazionario (grafico a destra) in periodi in cui le condizioni di partenza erano analoghe a quelle attuali. Nell’arco di tempo considerato, i rendimenti dell’azionario sui successivi cinque anni hanno registrato una maggiore variabilità, con la più alta percentuale di osservazioni (34%) nel range compreso fra −2,5% e 0,0%, rispetto ai rendimenti obbligazionari per i quali la grande maggioranza di osservazioni (75%) è stata nell’intervallo 5,0% - 7,5%. Le fonti per questi grafici sono: Bloomberg, dati Barclays Live (gennaio 1976 – settembre 2023), elaborazioni di PIMCO. Le “condizioni analoghe a quelle attuali” sono definite come rapporto prezzo/utile depurato degli effetti del ciclo economico (CAPE) maggiore o uguale a 28 per l’indice S&P 500 e yield-to-worst nel range del 5%–7% per il Bloomberg U.S. Aggregate Index.

Fonte: Bloomberg, dati Barclays Live (gennaio 1976 – settembre 2023), elaborazioni PIMCO. Le “condizioni analoghe a quelle attuali” sono definite come rapporto prezzo/utile depurato degli effetti del ciclo economico (CAPE) maggiore o uguale a 28 per l’indice S&P 500 e yield-to-worst nel range del 5%–7% per il Bloomberg U.S. Aggregate Index.

Addentrandosi nell’analisi dei dati storici, si riscontra che nell’ultimo secolo l’azionario americano è stato più costoso dell’obbligazionario solo in un numero esiguo di circostanze, ad esempio durante la Grande Depressione e nel periodo dello scoppio della bolla delle dot-com. Un modo diffuso di misurare la valutazione relativa delle obbligazioni rispetto alle azioni è attraverso il premio per il rischio azionario o “ERP”. Ci sono diversi modi per calcolare questo premio al rischio ma in questo caso è calcolato come differenza tra l’inverso del rapporto prezzo/utili per l’S&P 500 e il rendimento del decennale governativo americano. Attualmente l’ERP è appena sopra l’1%, un minimo che non si vedeva dal 2007 (cfr. Figura 2). L’esperienza storica suggerisce che probabilmente l’azionario non si manterrà a livelli così costosi rispetto all’obbligazionario; crediamo pertanto che questo possa essere un momento ottimale per considerare di sovrappesare l’obbligazionario nell’asset allocation di portafoglio.

Figura 2 – L’azionario americano appare costoso rispetto all’obbligazionario

La figura contiene un grafico lineare che mostra l’andamento del premio per il rischio azionario (ERP) per l’S&P 500 dal 1926 al 2023. Nel periodo di tempo considerato, l’ERP ha registrato un valore medio del 4,2% ma con oscillazioni, toccando minimi di −5% nel 1934 e di −2,5% nel 2001 e massimi del 18% nel 1949 e del 14,5% nel 1983. Attualmente si attesta all’1%. Fonte: Bloomberg, elaborazioni PIMCO al 13 ottobre 2023. Il premio per il rischio azionario (ERP) è calcolato come la differenza tra il rapporto utile/prezzo (earning yield) a 10 anni, depurato degli effetti del ciclo economico, per l’S&P 500 (S&P 90 prima del 1957) e il rendimento reale del decennale governativo americano.

Fonte: Bloomberg, elaborazioni PIMCO al 13 ottobre 2023. Il premio per il rischio azionario (ERP) è calcolato come la differenza tra il rapporto utile/prezzo (earning yield) a 10 anni, depurato degli effetti del ciclo economico, per l’S&P 500 (S&P 90 prima del 1957) e il rendimento reale del decennale governativo americano.

Anche sulla base dei rapporti prezzo/utile (P/E) l’azionario, soprattutto quello americano, risulta costoso, a nostro giudizio, e non solo rispetto all’obbligazionario ma in assoluto.

Negli ultimi 20 anni, le valutazioni dell’S&P 500 sono state in media pari a 15,4 volte il P/E prospettico a 12 mesi. Oggi quel multiplo è significativamente superiore e pari a 18,1 volte il P/E a 12 mesi. Questa valutazione considera una stima di aumento dell’utile per azione (EPS) del 12% nell’anno venturo, una stima che riteniamo insolitamente alta a fronte del potenziale rallentamento dell’economia. Ipotizzando un livello più normale di crescita dell’EPS del 7% nel 2024, l’S&P oggi scambierebbe a livelli persino più costosi con un multiplo di 18,6 volte il P/E a 12 mesi, mentre adottando una stima più conservativa di crescita dell’EPS pari a 0% nel 2024, allora il multiplo di valutazione salirebbe a 19,2 volte il P/E a 12 mesi. Un livello così estremo, a nostro avviso, verosimilmente indurrebbe una contrazione dei multipli (quando i prezzi delle azioni scendono anche quando gli utili sono piatti) se dovesse avverarsi una crescita piatta dell’EPS.

Si osserva tuttavia una cruciale differenziazione sul mercato azionario: se si escludono dal calcolo le sette maggiori società tecnologiche, il resto dell’S&P scambia a livelli prossimi alla media di lungo termine a 15,6 volte il P/E a 12 mesi. Questa differenziazione potrebbe offrire interessanti opportunità di generare alfa attraverso la gestione attiva.

Nel complesso riteniamo che le aspettative di utili robusti potrebbero andare incontro a delusione in un’economia in rallentamento e questo, assieme alle valutazioni elevate in parti consistenti dei mercati, giustifica un approccio prudente con un posizionamento neutrale sull’azionario, privilegiando qualità e opportunità su base relativa.

I fondamentali azionari invitano alla cautela

I nostri modelli indicano che gli investitori azionari appaiono più ottimisti sull’economia rispetto a chi investe in credito societario. Usiamo i differenziali di ERP, EPS e CDX (l’indice dei credit default swap) per stimare la probabilità di recessione scontata dalle diverse classi di attivo, confrontando i livelli attuali con quelli tipici di contesti recessivi. L’S&P 500 (nei differenziali dell’ERP e dell’EPS) attualmente riflette una probabilità di recessione del 14%, un valore significativamente inferiore alla stima implicita nel credito high yield pari al 42% (attraverso il CDX).

Quell’ottimismo trova risalto nelle stime di consenso sugli utili e sul fatturato per l’S&P 500 che prevedono una riaccelerazione anziché un rallentamento (cfr. Figura 3). La potenziale distanza tra le nostre previsioni macroeconomiche e queste stime di utili, oltre che con le valutazioni dell’azionario, ci preoccupa e rafforza la nostra cautela rispetto a questa classe di attivo.

Figura 3 – Le stime di consenso sul fatturato dipingono un quadro ottimista per l’azionario americano

Questa figura è composta da un grafico lineare che mostra la crescita del PIL nominale americano e quella del fatturato per l’S&P 500, sulla base dei dati effettivi a partire dal 3° trimestre 2013 e delle stime future a tutto il 2024. Sia il PIL che il fatturato hanno raggiunto un picco negativo nel 2020 durante la pandemia per poi rimontare con la ripresa. Il PIL nominale è sceso da un massimo del 17% nel 2° trimestre 2021 al 6% nel 2° trimestre 2023 prima di risalire leggermente nel 3° trimestre di quest’anno. PIMCO prevede che diminuirà in modo graduale per gran parte del 2024. La crescita del fatturato è precipitata dal 23% del 2° trimestre 2021 all’1% nel 2° trimestre 2023, le stime di consenso ne prevedono la risalita e un successivo plateau più avanti nel 2024. Fonte: U.S. Bureau of Economic Analysis, Haver Analytics, Goldman Sachs, PIMCO ad ottobre 2023. Le stime del PIL nominale sono quelle di PIMCO mentre le stime di consenso sul fatturato per l’S&P500 sono di fonte Goldman Sachs.

Fonte: U.S. Bureau of Economic Analysis, Haver Analytics, Goldman Sachs, PIMCO. I dati sulla crescita del fatturato, effettivi e stimati (consenso bottom-up) sono di fonte Goldman Sachs, ad ottobre 2023. I dati effettivi del PIL nominale degli Stati Uniti sono di fonte BEA e Haver Analytics mentre le stime sono quelle elaborate da PIMCO sulla base delle proprie previsioni sul PIL reale americano e quelle implicite per l’indice dei prezzi al consumo americano (CPI) sulla base del mercato delle obbligazioni del Tesoro americano indicizzate all’inflazione (TIPS). I dati del PIL e le stime sono al 3 novembre 2023. Le stime sono contrassegnate dalle linee tratteggiate.

Gestire i rischi rispetto allo scenario macroeconomico di base

Riconosciamo i rischi rispetto al nostro scenario di base di rallentamento della crescita e dell’inflazione. La resiliente economia americana potrebbe evitare la recessione ma anche alimentare surriscaldamento della crescita e accelerazione dell’inflazione che indurrebbero una politica monetaria molto più restrittiva. È anche possibile tuttavia un atterraggio duro, con rapido precipitare della crescita e dell’inflazione.

Alla luce di questi scenari di rischio crediamo sia prudente includere coperture e opzioni; gestire la volatilità, soprattutto sul versante azionario, è tra l’altro di allettante convenienza (cfr. Figura 4). Una strategia che prediligiamo, ad esempio, è la “reverse seagull” che prevede un put spread finanziato vendendo un’opzione call.

Figura 4 – La volatilità relativamente bassa nell’azionario rispetto all’obbligazionario favorisce coperture a prezzi interessanti

Questa figura è un grafico lineare che mette a confronto la volatilità dell’azionario con quella dell’obbligazionario a partire da ottobre 2018. Il VIX è l’indice di volatilità del Chicago Board Options Exchange (CBOE) e misura la volatilità dell’indice azionario S&P 500. Il MOVE è l’indice ICE Bank of America che misura la volatilità sui mercati obbligazionari. Entrambi gli indici di volatilità sono rappresentati con base 100 a ottobre 2018. Da allora il VIX ha registrato un massimo di 390 a marzo 2020 e più di recente un massimo da inizio anno di 120 nel 2023 ma a ottobre 2023 è sceso a 85. Il MOVE ha toccato un massimo di 270 a marzo 2020 e adesso è intorno a 210. Dai primi mesi del 2022 il MOVE presenta valori superiori al VIX. Fonte: dati Bloomberg.

Fonte: dati Bloomberg per il periodo ottobre 2018 – ottobre 2023. Il VIX è l’indice di volatilità del Chicago Board Options Exchange (CBOE) e misura la volatilità sull’S&P 500. Il MOVE è l’indice ICE Bank of America che misura la volatilità sui mercati obbligazionari. Entrambi gli indici di volatilità hanno come base 100 a ottobre 2018.

Temi di investimento nel contesto di grande incertezza

Nei portafogli multi-asset, crediamo vi siano motivi convincenti per puntare sull’obbligazionario, tuttavia valutiamo un ampio ventaglio di opportunità di investimento. Siamo posizionati per una gamma di esiti macroeconomici e di mercato e poniamo enfasi sulla diversificazione, sulla qualità e sulla flessibilità.

Duration: opportunità di alta qualità

Con i livelli di partenza attuali dei rendimenti, privilegeremmo l’obbligazionario già di per sé, il confronto con le valutazioni dell’azionario semplicemente rafforza i motivi per farlo. L’obbligazionario offre potenziale di rendimenti interessanti e può aiutare ad ancorare i portafogli in una contrazione economica. Viste le incertezze sul versante macro, gestiamo in modo attivo e diversifichiamo le nostre posizioni di duration prediligendo l’alta qualità e rendimenti resilienti.

La duration americana sulle scadenze intermedie è particolarmente appetibile. Ravvisiamo inoltre opportunità interessanti in Australia, Canada, Regno Unito ed Europa. I primi due tendono ad essere mercati più sensibili ai tassi di interesse in quanto una quota consistente dei mutui è a tasso variabile, mentre per gli altri due mercati, gli ultimi dati macroeconomici segnalano che potrebbero essere più vicini a una recessione rispetto agli Stati Uniti. Le politiche delle banche centrali in queste regioni potrebbero divergere e monitoreremo attentamente la situazione dei titoli nei loro bilanci per il potenziale impatto sui tassi e sulle relative posizioni.

Nei mercati emergenti, deteniamo un sovrappeso di duration in paesi con elevata qualità del credito, tassi reali alti, nonché valutazioni e potenziale di rendimento appetibili. Apprezziamo in particolare Brasile e Messico, dove il processo di discesa dell’inflazione è più avanti e i tassi reali sono decisamente elevati.

Siamo invece sottopesati sulla duration del Giappone, che potrebbe andare incontro a una decisa stretta monetaria con l’aumento dell’inflazione.

Riconosciamo che i tassi monetari attualmente sono più interessanti di quanto fossero da tempo, tuttavia noi preferiamo posizionarci su scadenze più lunghe per assicurarci rendimento e ancorare i portafogli sul medio termine. Se è vero che la storia insegna, la duration ha considerevole potenziale di sovraperformare il monetario specialmente in questa fase del ciclo di politica monetaria.

Azionario: il relative value è cruciale

Benché l’S&P 500 appaia costoso nell’insieme, ravvisiamo potenziale di differenziazione e di opportunità di natura tematica. Dal punto di vista macro, è anche possibile che la resilienza dell’economia (ad esempio i consumi robusti negli Stati Uniti) offrano sostegno ai mercati azionari più di quanto stimiamo al momento. Di conseguenza, abbiamo un posizionamento neutrale sull’azionario nei nostri portafogli multi-asset. Un approccio attivo può aiutare a individuare i potenziali vincitori.

In tempi di incertezza, preferiamo investire in titoli di qualità. Storicamente il fattore qualità ha offerto valore interessante per la fase finale di un ciclo economico (cfr. Figura 5). Nell’ambito del nostro posizionamento nel complesso neutrale, siamo sovrappesati sull’azionario americano (S&P 500), che presenta caratteristiche di maggiore qualità rispetto ad altre regioni, in particolare dei mercati emergenti. In Europa la crescita potrebbe incontrare maggiori ostacoli rispetto agli Stati Uniti e siamo dunque sottopesati sui mercati azionari del vecchio continente nonostante le valutazioni più appetibili.

Figura 5 – L’azionario di qualità offre interessante potenziale di rendimento corretto per il rischio in fase finale del ciclo economico

Questa figura consiste di una tabella che mostra i valori medi di Sharpe ratio (indicatore dei rendimenti azionari corretti per il rischio) per diverse categorie di fattori nell’ambito dell’S&P 500 in ciascuna fase del ciclo economico, a partire dal 1984. Storicamente quando l’economia è stata nel terzo finale di un’espansione, che secondo molti economisti è la fase in cui ci troviamo oggi, il fattore qualità ha offerto lo Sharpe ratio più interessante, con un valore pari a 0,82, superando quello dei fattori momentum (0,51), basso beta (−0,05), value (−0,06), bassa volatilità (−0,07), e dimensione (−0,35). Il fattore qualità ha registrato Sharpe ratio positivi in tutte le fasi eccetto il primo terzo di un’espansione. Fonte: PIMCO, Compustat, NBER (U.S. National Bureau of Economic Research) al 24 ottobre 2023. Lo Sharpe ratio, indicatore d’uso diffuso dei rendimenti azionari corretti per il rischio, è stato calcolato sulla base dei dati a partire dal 1984 e delle definizioni di Fama–French di value, qualità, dimensione e momentum con riferimento all’S&P 500. Recessioni ed espansioni definite dal NBER.

Fonte: PIMCO, Compustat, NBER (U.S. National Bureau of Economic Research) al 24 ottobre 2023. Lo Sharpe ratio, indicatore d’uso diffuso dei rendimenti azionari corretti per il rischio, è stato calcolato sulla base dei dati a partire dal 1984 e delle definizioni di Fama–French di value, qualità, dimensione e momentum con riferimento all’S&P 500. Recessioni ed espansioni definite dal NBER.

Privilegiamo inoltre i sotto-settori sostenuti dalle misure di politica fiscale che potrebbero beneficiare di progetti di lunga durata e robusti trend secolari favorevoli. L’Inflation Reduction Act americano, ad esempio, fornisce sostegno a molti settori dell’energia pulita (idrogeno, solare, eolico) con significativi crediti di imposta.

In termini di posizioni corte nell’azionario, ci focalizziamo su settori sensibili ai tassi, in particolare settori ciclici come l’edilizia. Anche il comparto automobilistico potrebbe risentire di tassi più alti per un tempo prolungato; con il normalizzarsi dell’offerta pensiamo che la domanda faticherà a tenere il passo.

Credito e attivi cartolarizzati

Nel credito, prediligiamo la resilienza, con un’enfasi su opportunità relative value. Restiamo prudenti sul credito societario, seppur una focalizzazione di stampo attivo su specifici settori possa aiutare a mitigare i rischi in una flessione economica. Siamo sottopesati sul credito societario a tasso variabile di minore qualità come i prestiti bancari e determinati attivi sui mercati privati, che restano i più suscettibili ai tassi alti e già mostrano segnali di tensione.

A differenza del credito societario, si possono trovare spread interessanti negli MBS e altri titoli obbligazionari frutto di cartolarizzazioni. Abbiamo una elevata allocazione in MBS agency americani, che sono attivi di alta qualità, liquidi e scambiano a valutazioni molto allettanti, come si evince dalla Figura 6. Ravvisiamo valore anche in posizioni senior per determinati attivi cartolarizzati come le collateralized loan obligation (CLO) e le collateralized mortgage obligation (CMO).

Figura 6 – Gli investimenti in MBS offrono spread interessanti

Questa figura è un grafico lineare che mostra gli spread corretti per la volatilità per il mercato degli MBS agency americani dal 1995 (con valore base zero). Nel periodo considerato, gli spread hanno raggiunto 100 (indicativo di valutazione conveniente/interessante) nel 2008 per poi scendere bruscamente, hanno registrato un’ampia oscillazione nel periodo del Covid e nel 2023 hanno raggiunto nuovamente il livello 100. Le linee orizzontali marcano le soglie di convenienza e dispendiosità. Fonte: Bloomberg, PIMCO al 30 settembre 2023. Per “costoso di 1x” (a −18) e “conveniente di 1x” (25) si intende di 1 deviazione standard rispetto alla media dello spread corretto per le opzioni (OAS). Per “costoso di 2x” (−40) e “conveniente di 2x” (52) si intende di 2 deviazioni standard rispetto alla media dell’OAS. I termini

Fonte: Bloomberg, PIMCO al 30 settembre 2023. Per “costoso di 1x” e “conveniente di 1x” si intende di 1 deviazione standard rispetto alla media dello spread corretto per le opzioni (OAS). Per “costoso di 2x” e “conveniente di 2x” si intende di 2 deviazione standard rispetto alla media dell’OAS. I termini "conveniente" e "costoso" utilizzati nel documento si riferiscono generalmente a titoli o a classi di attivo considerati nettamente sottovalutati o sopravvalutati rispetto alla loro media storica e alle aspettative future del gestore degli investimenti.

In conclusione

Esaminando le varie classi di attivo, crediamo che l’obbligazionario si distingua per le solide prospettive nello scenario macroeconomico di base nonché per la sua resilienza, la diversificazione e in special modo per le valutazioni. A fronte dei rischi per l’azionario che è costoso, le argomentazioni a favore di un’allocazione in obbligazioni di alta qualità sono più che convincenti.

A cura di

Erin Browne

Gestore, Asset Allocation

Emmanuel S. Sharef

Gestore, Esperto di analisi

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